Internazionale Arcobaleno
Mi è capitato in questi giorni, camminando a testa in su, di chiedermi chi fossero quelle persone che hanno comprato ed esposto bandiere arcobaleno che hanno sentito, cioè, il bisogno di mandare un messaggio di pace, e verso chi.
Nelle piazze in questi mesi ho visto persone diverse come età, ideologia, professione ed esperienza.
L’opinione comune, ma anche la più banale, che i media vogliono far passare, è che sia semplicemente un movimento di persone che ritengono la guerra non sia giusta o che i motivi della guerra non siano quelli dichiarati e che vogliono manifestare il loro dissenso.
Questo non escluderebbe il fatto che comunque il regime irakeno va abbattuto per il bene di tutti e che Saddam Hussein si è macchiato di crimini orrendi, ma secondo me non si coglie una sfumatura.
C’è un motivo scatenante che ha fatto scendere così tante persone in piazza, la guerra; ma questo è sono il motivo incidente l’ultimo degli eventi che ha scosso la coscienza di milioni di persone ma cos’altro c’è più nel profondo?
Dai discorsi che ho sentito mentre camminavo spalla a spalla, quella scritta PACE che sta al centro di ogni “bandiera arcobaleno” vuol comunicare qualcosa di più del semplice significato della parola.
Serpeggia per le strade l’opinione, consapevole o no, che il conflitto in Iraq non è una soluzione, per quanto scomoda possa essere, a chissà quale imminente minaccia internazionale ma che al contrario sia solo la prosecuzione di una politica estera obsoleta.
Quella stessa politica che ha appoggiato e che appoggia tutt’oggi regimi dittatoriali per il solo motivo che assicurano più stabilità a un’area, o perché sono nemici dei nemici e quindi amici, o peggio perché con un regime amico è più facile stringere accordi commerciali favorevoli o esclusivi.
Non mi riferisco solo agli Stati Uniti, purtroppo fino ad oggi questi sono state le prassi malate su cui si è retta la politica internazionale. E un semplice principio, noto dalla cultura popolare, che si chiama “tirare a campare”, così si potrebbero riassumere e sintetizzare le centinaia di articoli e pubblicazioni di autorevoli analisti che da anni criticano il modo di gestire le questioni internazionali, ed è così che nella gente comune nasce il bisogno di manifestare per le strade.
Quello che si vede per e strade è la voglia di chiedere a chi ci rappresenta di riformare o rifondare il sistema che oggi non riesce a garantire la giustizia e a distinguere nettamente il bene dal male e che nè oggi né domani riuscirà a garantirci di essere noi (i giusti) in guerra contro loro (i terroristi).
Soprattutto per la mia generazione, che è cresciuta tartassata di lodi tessute agli oraganismi internazionali, ONU in primis, come garanzia dei diritti umani in tutte le controversie internazionali, ritrovarsi con 4guerre negli ultimi 10anni e dopo ogni guerra con lo spettro di un’altra guerra in arrivo non ha fatto altro che creare una grosso desiderio di cambiare, un’esigenza di giustizia ma soprattutto la consapevolezz di essere stati presi in giro.
Il no-alla-guerra, che viene da chiunque abbia riflettuto un po’ sul nostro periodo storico, è soprattutto la richiesta verso chi abbiamo votato di non limitarsi a correre ai ripari con una guerra ogni qual volta il sistema del diritto internazionale rivela le sue perversioni e i suoi limiti.
NOT IN MY NAME dice qualche cartello io lo traduco con: “La guerra è la conseguenza della vostra gestione corrotta del potere” è la denuncia verso le democrazie occidentali di non essere più, ormai, rappresentative.
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