8.5.03

Art.18
tra poco ci sara' il referendum sull'estensione dell'art 18 anche per le imprese di meno di 15 dipendenti.
La prima domanda che viene da fare a Bertinotti e': "che cazzo di referendum hai piazzato?"
Viene da pensare ma perche' quando anche la confindustria va contro il governo Berlusconi chiedendo di sospendere l'abolizione dell'articolo si deve rilanciare come in una partita a carte.
Infatti non c'e' alcun dubbio sul fatto che per essere licenziato ci sia bisogno di una giusta causa e che un diritto se vale per una grande impresa valga anche per una piccola (non si tratta di un dovere delle imprese infatti ma di un diritto dei lavoratori) ma si deve tener conto del fatto che le conseguenze sulle piccole imprese potrebbero essere pesanti.
Infatti per una gran parte delle imprese artigiane una causa persa con relativo risarcimento è forse gia' un deterrente abbastanza forte al licenziamento (date le spesso stretti margini finanziari) e quindi aggiungere la possibilita' del reintegro potrebbe veramente diventare un deterrente alle nuove assunzione.
Però se il referendum avra' un esito negativo per il Si vorrebbe dire aprire la strada a nuove e molto piu' gravi lacerazione nelle tutele a tutti i lavoratori.
La posta in gioco e' troppo alta non si puo' dire No.
Nel caso di un Si deciso infatti e' facile pronosticare, a fronte dell'estensione, una debiazione verso la revisione della definizione di "giusta causa", vista anche la volonta della maggioranza del parlamentoche poi dovra' elaborare la nuova legge, che appare la soluzione più sensata che possa lasciare i lavoratori e le imprese indenni da timori.
E' gia successo in passato che i risultati dei referendum vengano parzialmente ignorati mentre in caso di NO non ci sarebbe ritorno perche' questa maggioranza ha già mostrato di poter tirare avanti senza curarsi di opinione pubblica ecc... anche fino alle estreme conseguenze.
Un buon SI a cuor leggero a tutti.

17.4.03

Tratto dal diario dell'inviata di guerra RAI a Baghdad!
http://www.rainews24.rai.it/ran24/speciali/postwarblog/default.htm

26° giorno di guerra
diario di Giovanna Botteri

Ventiseiesimo giorno di guerra. acqua, luce, telefoni, cibo, medicine. tutto continua a mancare. ma da oggi hanno riaperto al candles e al sajaf. fanno kebab e chicken tikka. lo stesso piatto che venti giorni fa costava un dollaro oggi ne costa venticinque. il problema, almeno per i giornalisti, non sono i venticinque dollari, ma riuscire ad arrivarci. le strade sono piene di bande di saccheggiatori, armati e pronti a distruggere, tutto. il museo archeologico non esiste piu'. tremila anni di storia polverizzati in 48 ore. e da ieri brucia la biblioteca nazionale, migliaia di volumi, memoria storica dell'intero Iraq. gli abitanti di Baghdad assistono impotenti alla distruzione della loro citta' e del loro patrimonio culturale. i marines sembrano indifferenti a quello che succede, ma sui muri gia' sono comparse le prime scritte antiamericane. Bush sostiene i saccheggiatori, bush = saddam. Un solo palazzo, in tutta la citta', e' rimasto intatto, protetto dai tank color ocra giorno e notte. E' il ministero del petrolio.


13.4.03

Errata corrige quella a Roma è diventata durante la scorsa settimana una manifestazione per la Pace e basta!
Non è colpa mia, ormai non si capisce neanche su cosa è più urgente manifestare.
Cmq a dimostrare la mia buona fede c'era una folta rappresentanza degli studenti anti-moratti nel corteo pacifista.
A QUANTO SI DICE E' SOLO UN ARRIVEDERCI, SE CE L'AVETE CON LA MORATTI DOVETE ASPETTARE...
Scuss :.(







 







WELCOME!!! :Accolti a braccia aperte.

8.4.03

Sabato 12aprile manifestazione nazionale a Roma, antimoratti, alla quale si aggiungerà anche un grosso spezzone pacifista!
SE NON RIUSCIAMO A FERMARE LA GUERRA FERMEREMO ALMENO LA mORATTI
SALVIAMO L'UNIVERSITA' PUBBLICA!!!!
la ministra ha già dimostrato di arretrare, a fronte di una protesta pressante (per esempio riguardo le riforme delle scuole dei gradi inferiori), quindi STRILLIAMO!!!
DOPO IL 3+2, ECCOVI IL 3X2: UNIVERSITÀ IN SVENDITA: Come se non bastasse già lo scenario internazionale a preoccupare lo “studente medio” adesso ci si mette anche la Moratti. In realtà purtroppo c’è poco da ridere, stavolta fanno sul serio. Per adesso non si può privatizzare la scuola e l’università pubblica, però si può cominciare con i primi approcci: si può, attraverso un lifting, camuffare la scuola pubblica da privata. La grande riforma Moratti, infatti rischia di essere, non solo un altro capitolo della storia infinita delle riforme mancate come la precedente riforma Berlinguer (quella del 3+2), ma il primo passo verso la distruzione dell’Università pubblica. Ho avuto “l’onore” di leggere il documento della commissione segreta dei tredici da Adriano De Majo (rettore dell’università della Luiss) sinceramente non mi ha spiazzato. La prima cosa che salta agli occhi è una lunghissima premessa, che ai più sembrerà ricca di buoni propositi, così infarcita di parole come “efficienza”, “qualità” e “flessibilità” ma, invece, secondo me dovrebbero ispirare solo diffidenza: se quei pochi e semplici concetti che prevedrebbe la riforma fossero così innocui non ci sarebbe bisogno di introdurli con quattro pagine di obbiettivi ai quali sono rivolti. Dicevo che De Majo, il rettorone della Luiss di Roma, non mi ha spiazzato, infatti l’unica cosa che propone è di aumentare la qualità delle università pubbliche è “mettere dei filtri” cioè introdurre delle selezioni per cui i veri corsi di laurea come li intendiamo oggi saranno riservati solo ai più “bravi” in base alla produttività (numero di esami dati e voti). Si cerca di riservare la laurea, come la intendiamo adesso solo agli studenti più veloci e performanti. Così si evita di perdere denaro con chi studia e lavora o con chi coltiva interessi anche fuori del normale iter formativo. Tutti questi studenti per la commissione sono solo “studenti parcheggiati nelle facoltà che aspettano di trovare un lavoro”. Ma qui sorge un dubbio: ridurre i costi tenendo solo gli studenti a tempo pieno e selezionare gli studenti in modo da salvaguardare l’immagine della struttura non sono forse prerogative di un università privata che non dovrebbero toccare affatto il sistema pubblico. Un servizio pubblico non ha bisogno di operazioni di marketing per giustificare una retta vertiginosa come quella delle uni private. Per il resto la riforma lascia solo grossi interrogativi: v Come saranno accettati dal mercato del lavoro gli studenti delle attuali lauree triennali presi in mezzo tra due riforme? v Perchè riformare l’università italiana che come didattica è un modello in Europa e non solo, invece di investire per elevare il livello di quegli atenei che sono rimasti indietro. v Come saranno giudicati gli studenti dei futuri percorsi professionalizzanti? Quest’ultimo interrogativo è quello che lascia più perplessi perché nel lavoro della commissione non c’è nessuna garanzia riguardo a questa mezza laurea cosa certa è che sarà di certo a un livello inferiore rispetto all’altro. Mentre il primo è quello che ci riguarda da vicino perché tra il passato delle lauree quadriennali e quinquennali e il futuro della riforma Moratti noi “figli della riforma Berlinguer” saremo una parentesi atipica e scomoda x atenei e mondo del lavoro.

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La Moratti Inventa il percorso a Y ovvero, SORSI di Laurea!

Da un paio d’anni sono stato attivati i nuovi corsi di laurea triennali, neanche il tempo di metabolizzare le novità che già questo sistema sembra diventato obsoleto. In realtà semplicemente al nuovo governo non sembra sufficiente lasciare agli studenti la scelta di interrompere l’iter universitario dopo tre anni perché questo avvenga veramente. C’è bisogno di una radicalizzazione delle scelte. La nuova riforma Moratti, elaborata da una commissione appositamente formata, prevede infatti una selezione che non lascia più scelta agli studenti. Dopo il primo anno, uguale per tutti gli studenti all’interno della stessa facoltà, è prevista una selezione definita “rigida” (in base al numero degli esami dati e alla votazione conseguita) chi supera questa selezione ha la possibilità di proseguire per altri due bienni come le vecchie lauree quinquennali chi non ce la fa viene avviato, invece a un percorso “professionalizzante” di 2 anni dopo dei quali è obbligato ad abbandonare gli studi. Il “modello a Y” non permette inoltre una volta imboccato uno dei due percorsi paralleli di passare da un ramo all’altro in nessun modo perché profondamente diversi uno dall’altro: uno proiettato al mondo del lavoro l’altro a un livello di studio elevato e d’elite. La differenza con la precedente riforma Berlinguer (tuttora in vigore) consiste nel fatto che la possibilità di lasciare l’università dopo tre anni non è più lasciata alle decisioni dello studente ma è frutto di una scrematura che lede il diritto (costituzionale) allo studio.

2.4.03

Oggi mi sono tagliato i capelli, a Elena non piacciono preferiva il gatto morto che avevo prima.

29.3.03

Due righe!
Ha ragione la destra avremmo più possibilità di far finire la guerra se durante le manifestazioni ci rivolgessimo a Saddam.
Infatti il regime di Saddam negli ultimi giorni ha dimostrato di ascoltare l'opinione pubblica occidentale molto più dei governi che ogni tanto ci chiedono il voto.
Hanno trattato da re i 7 giornalisti Italiani, arrestati ieri a Bassora e poi parcheggiati in albergo in attesa che fosse pronto il visto, (non sono neanche stati espulsi per adesso) anche se avevano palesemente violato le leggi e per adesso "l'esercito del Rais" come amano chiamarlo i giornali (come non fosse un esercito regolare) ha usato solo mezzi convenzionali di guerra (ammesso che ne abbia altri purtroppo non è stato lasciato tempo agli ispettori di verificare) e non credo lo faccia per bontà di cuore.
Insomma, non credo che se glielo chiediamo, Saddam Hussein, ci va davvero in esilio quello che so è che Berlusconi, non lo ha fatto e sono già un paio d'anni che lo ripetiamo.

24.3.03

DAVIDE CESARE: Ragazzo.
MILANO- "La notte nera nera di milano" come l'hanno chiamata i giornali, la notte in cui una famiglia di simpatizzanti neonazisti si aggirano, armati di coltello, per un quartiere frequentato dai ragazzi dei centri sociali fino a un bar il "Tipotà" qui si scontrano con tre ragazzi: Davide e i suoi amici.
I compagni del centro sociale ORSO accorsi hanno trovato la polizia a rispondere al loro schock con il manganello e altra violenza.
Secondo la polizia il movente non è chiaro, ma tre neo-nazi che girano con un coltello tra due centri sociali bastano a descrivere una scena abbastanza nitida.
Movente politico, dice qualcuno, non è vero non c’è niente di politico in un coltello o in una provocazione forse c'è solo la frustrazione di non aver niente da dire.

Il difficile addio a Dax:
Milano-In tremila sabato hanno detto addio a Davide Cesare il ragazzo di 26anni ucciso domenica scorsa, a coltellate, da un’intera famiglia di simpatizzanti neofascisti padre e due figli.
C’erano tutti ieri al funerale, le famiglie a cui aveva contribuito a far mantenere la casa a Stadera (tra Milano e Rozzano), ex partigiani e tutti i suoi compagni con le bandiere rosse listate a lutto.
Un lungo addio per la famiglia di Davide i suoi genitori, sua moglie e sua figlia, lo stesso dolore che qualche anno fa hanno affrontato Giuliano e Heidi i genitori di Carlo Giuliani ucciso negli scontri di Genova e Daniela madre di Fausto Tinelli.
Erano lì anche loro per pertecipare al dolore e dire insieme un no alla spirale di violenza che la recente storia italiana ha già visto cominciare in maniera analoga.
Sono i padri di tutti quei ragazzi impegnati nel sociale, che giorno per giorno costruiscono l’altro mondo possibile, sono quelli che non si sono mai lasciati andare al desiderio di vendetta anche se questa Italia ha tolto loro quanto di più prezioso possedevano, sono gli unici che, col cuore, cercano di indicare la strada a ragazzi come i figli che hanno perduto.
Addio compagno Dax!


Claudio, il fretellino di Davide: "Davide non credeva all'inferno e al paradiso, ma io so che per le persone come Dax un posto in paradiso c'è sempre che li aspetta".

21.3.03

Internazionale Arcobaleno

Mi è capitato in questi giorni, camminando a testa in su, di chiedermi chi fossero quelle persone che hanno comprato ed esposto bandiere arcobaleno che hanno sentito, cioè, il bisogno di mandare un messaggio di pace, e verso chi.
Nelle piazze in questi mesi ho visto persone diverse come età, ideologia, professione ed esperienza.
L’opinione comune, ma anche la più banale, che i media vogliono far passare, è che sia semplicemente un movimento di persone che ritengono la guerra non sia giusta o che i motivi della guerra non siano quelli dichiarati e che vogliono manifestare il loro dissenso.
Questo non escluderebbe il fatto che comunque il regime irakeno va abbattuto per il bene di tutti e che Saddam Hussein si è macchiato di crimini orrendi, ma secondo me non si coglie una sfumatura.
C’è un motivo scatenante che ha fatto scendere così tante persone in piazza, la guerra; ma questo è sono il motivo incidente l’ultimo degli eventi che ha scosso la coscienza di milioni di persone ma cos’altro c’è più nel profondo?
Dai discorsi che ho sentito mentre camminavo spalla a spalla, quella scritta PACE che sta al centro di ogni “bandiera arcobaleno” vuol comunicare qualcosa di più del semplice significato della parola.
Serpeggia per le strade l’opinione, consapevole o no, che il conflitto in Iraq non è una soluzione, per quanto scomoda possa essere, a chissà quale imminente minaccia internazionale ma che al contrario sia solo la prosecuzione di una politica estera obsoleta.
Quella stessa politica che ha appoggiato e che appoggia tutt’oggi regimi dittatoriali per il solo motivo che assicurano più stabilità a un’area, o perché sono nemici dei nemici e quindi amici, o peggio perché con un regime amico è più facile stringere accordi commerciali favorevoli o esclusivi.
Non mi riferisco solo agli Stati Uniti, purtroppo fino ad oggi questi sono state le prassi malate su cui si è retta la politica internazionale. E un semplice principio, noto dalla cultura popolare, che si chiama “tirare a campare”, così si potrebbero riassumere e sintetizzare le centinaia di articoli e pubblicazioni di autorevoli analisti che da anni criticano il modo di gestire le questioni internazionali, ed è così che nella gente comune nasce il bisogno di manifestare per le strade.
Quello che si vede per e strade è la voglia di chiedere a chi ci rappresenta di riformare o rifondare il sistema che oggi non riesce a garantire la giustizia e a distinguere nettamente il bene dal male e che nè oggi né domani riuscirà a garantirci di essere noi (i giusti) in guerra contro loro (i terroristi).
Soprattutto per la mia generazione, che è cresciuta tartassata di lodi tessute agli oraganismi internazionali, ONU in primis, come garanzia dei diritti umani in tutte le controversie internazionali, ritrovarsi con 4guerre negli ultimi 10anni e dopo ogni guerra con lo spettro di un’altra guerra in arrivo non ha fatto altro che creare una grosso desiderio di cambiare, un’esigenza di giustizia ma soprattutto la consapevolezz di essere stati presi in giro.
Il no-alla-guerra, che viene da chiunque abbia riflettuto un po’ sul nostro periodo storico, è soprattutto la richiesta verso chi abbiamo votato di non limitarsi a correre ai ripari con una guerra ogni qual volta il sistema del diritto internazionale rivela le sue perversioni e i suoi limiti.
NOT IN MY NAME dice qualche cartello io lo traduco con: “La guerra è la conseguenza della vostra gestione corrotta del potere” è la denuncia verso le democrazie occidentali di non essere più, ormai, rappresentative.