è in stampa il nuovo Pamphlet, periodico della sinistra universitaria della facoltà di economia G. Fuà di Ancona. Gli articoli sono in anteprima su questo sito! ::Fabio:.
19.4.04
17.4.04
Bandiera rossa: genesi di un simbolo.
Alzi la mano chi conosce la storia della bandiera rossa! ho come l'impressione che siano pochi (anche fra i compagni più facinorosi); è curioso scoprire che simboli, parole ed altro, che spesso si danno per scontati, nella realtà, hanno un significato e un origine ben precisi. Non era il colore preferito di Carl Marx o di qualsiasi altro profeta della rivoluzione ma ha una storia ben più remota che risale addirittura all'antica Grecia e in particolare ad Atene. Vigeva, allora, il sistema politico delle poleìs, che in se per se era molto fragile soprattutto rispetto alle minacce estere perchè si confrontava con colossi imperiali come la Persia, l'Egitto, i Fenici, i Romani; ma, al contempo, fu il grande esempio di civiltà che ci viene dal passato: rispetto per tutti (razze, omosessuali, diversi in genere purché fossero colti e ricchi: il resto erano barbari); primo esempio nella storia in cui i cittadini decidevano della politica del proprio paese, in pratica, la democrazia (non è un caso se tutte queste parole vengono direttamente dal greco; ad es. la parola politica viene direttamente da poleis cioè città: non è interessante notare ciò?). Ma andiamo avanti, la democrazia, diceva il politologo Miglio, è un pendolo, oscilla intorno un baricentro, ma in una società sono molteplici le forze che spingono in un verso o nell'altro; fino a quando ci sarà rispetto per l'avversario ci sarà democrazia, nel momento in cui c'è un gruppo prevaricatore allora siamo sul border line (come dicono gli inglesi). Quindi democrazia è esprimere i propri bisogni, lottare per le proprie idee sul come si amministra una società ma con rispetto per l'altro; in una parola democrazia è partecipazione. Osserviamo un attimo la bellezza delle parole e del loro significato: partecipare significa rendersi parte di un sistema, esserne dentro ma con un propria indentità; non posso essere contrario per definizione con questo sistema (società) perchè anche io ne sono un pezzettino, attaccarlo significherebbe in un certo qual modo attaccare se stessi; ma è vero anche che ho la mia individualità da difendere e lo stesso discorso vale anche per le classi sociali. Quindi accadde che in certo punto della storia di Atene avevamo i cittadini, uomini liberi (perchè vivevano di rendita), che votavano, amministravano e facevano carriera; e poi avevamo i lavoratori che non erano schiavi ma non avevano diritti politici (avevano il solo diritto a una retribuzione di sussistenza). Questa situazione durò fino a quando un bel giorno i lavoratori si coalizzarono aizzati da un latifondista greco (politicamente avverso alla "maggioranza di governo") e manifestarono per le vie della città per reclamare i propri diritti; il corteo era aperto da questo latifondista che marciava, felice e contento, con la bandiera rossa (simbolo araldico della propria famiglia). Indro Montanelli ironizzava sul fatto che il simbolo della sinistra avesse un'origine quasi nobile ma in realtà il momento storico è veramente epocale e/o emblematico: è la prima manifestazione, nella Storia, che vede il popolo sfilare pacificamente nelle vie della città per pretendere, democraticamente, una maggiore eguaglianza sociale. La bandiera fu ripresa, poi, all'indomani della rivoluzione francese diventando così il simbolo dei lavoratori uniti, quindi dei sindacati; con l'avvento della filosofia marxista e comunista la bandiera rossa divenne anche il simbolo del partito dei lavoratori. Tengo a precisare che i simboli sono simboli e ognuno ci vede quello che ci vuol vedere ma mi sembrava una storia curiosa ed è comunque cultura.
"Finché esisterà, a causa delle leggi e dei costumi, una dannazione sociale che in piena civiltà crea artificiamente degli inferni, e aggiunge una fatalità umana al destino, che è divino; finché i tre problemi del secolo, la degradazione dell'uomo nel proletariato, l'abbiezione della donna per fame, l'atrofia del fanciullo per tenebra, non saranno risolti; finché, in certi settori, sarà possibile l'asfisia sociale; in altre parole, e da un punto di vista ancor più ampio, finché esisteranno sulla terra ignoranza e miseria, il lavoro dei giovani, per mettere all'indice tutto ciò che è ingiustizia, non sarà mai vano: concorri con le tue idee, i tuoi se, i tuoi però alla realizzazione di tale giornale"
Parafrasando Victor Hugo nella sua introduzione a "Les miserables" (1862)
www.gulliver.unian.it
uniblog@hotmail.com
Alzi la mano chi conosce la storia della bandiera rossa! ho come l'impressione che siano pochi (anche fra i compagni più facinorosi); è curioso scoprire che simboli, parole ed altro, che spesso si danno per scontati, nella realtà, hanno un significato e un origine ben precisi. Non era il colore preferito di Carl Marx o di qualsiasi altro profeta della rivoluzione ma ha una storia ben più remota che risale addirittura all'antica Grecia e in particolare ad Atene. Vigeva, allora, il sistema politico delle poleìs, che in se per se era molto fragile soprattutto rispetto alle minacce estere perchè si confrontava con colossi imperiali come la Persia, l'Egitto, i Fenici, i Romani; ma, al contempo, fu il grande esempio di civiltà che ci viene dal passato: rispetto per tutti (razze, omosessuali, diversi in genere purché fossero colti e ricchi: il resto erano barbari); primo esempio nella storia in cui i cittadini decidevano della politica del proprio paese, in pratica, la democrazia (non è un caso se tutte queste parole vengono direttamente dal greco; ad es. la parola politica viene direttamente da poleis cioè città: non è interessante notare ciò?). Ma andiamo avanti, la democrazia, diceva il politologo Miglio, è un pendolo, oscilla intorno un baricentro, ma in una società sono molteplici le forze che spingono in un verso o nell'altro; fino a quando ci sarà rispetto per l'avversario ci sarà democrazia, nel momento in cui c'è un gruppo prevaricatore allora siamo sul border line (come dicono gli inglesi). Quindi democrazia è esprimere i propri bisogni, lottare per le proprie idee sul come si amministra una società ma con rispetto per l'altro; in una parola democrazia è partecipazione. Osserviamo un attimo la bellezza delle parole e del loro significato: partecipare significa rendersi parte di un sistema, esserne dentro ma con un propria indentità; non posso essere contrario per definizione con questo sistema (società) perchè anche io ne sono un pezzettino, attaccarlo significherebbe in un certo qual modo attaccare se stessi; ma è vero anche che ho la mia individualità da difendere e lo stesso discorso vale anche per le classi sociali. Quindi accadde che in certo punto della storia di Atene avevamo i cittadini, uomini liberi (perchè vivevano di rendita), che votavano, amministravano e facevano carriera; e poi avevamo i lavoratori che non erano schiavi ma non avevano diritti politici (avevano il solo diritto a una retribuzione di sussistenza). Questa situazione durò fino a quando un bel giorno i lavoratori si coalizzarono aizzati da un latifondista greco (politicamente avverso alla "maggioranza di governo") e manifestarono per le vie della città per reclamare i propri diritti; il corteo era aperto da questo latifondista che marciava, felice e contento, con la bandiera rossa (simbolo araldico della propria famiglia). Indro Montanelli ironizzava sul fatto che il simbolo della sinistra avesse un'origine quasi nobile ma in realtà il momento storico è veramente epocale e/o emblematico: è la prima manifestazione, nella Storia, che vede il popolo sfilare pacificamente nelle vie della città per pretendere, democraticamente, una maggiore eguaglianza sociale. La bandiera fu ripresa, poi, all'indomani della rivoluzione francese diventando così il simbolo dei lavoratori uniti, quindi dei sindacati; con l'avvento della filosofia marxista e comunista la bandiera rossa divenne anche il simbolo del partito dei lavoratori. Tengo a precisare che i simboli sono simboli e ognuno ci vede quello che ci vuol vedere ma mi sembrava una storia curiosa ed è comunque cultura.
"Finché esisterà, a causa delle leggi e dei costumi, una dannazione sociale che in piena civiltà crea artificiamente degli inferni, e aggiunge una fatalità umana al destino, che è divino; finché i tre problemi del secolo, la degradazione dell'uomo nel proletariato, l'abbiezione della donna per fame, l'atrofia del fanciullo per tenebra, non saranno risolti; finché, in certi settori, sarà possibile l'asfisia sociale; in altre parole, e da un punto di vista ancor più ampio, finché esisteranno sulla terra ignoranza e miseria, il lavoro dei giovani, per mettere all'indice tutto ciò che è ingiustizia, non sarà mai vano: concorri con le tue idee, i tuoi se, i tuoi però alla realizzazione di tale giornale"
Parafrasando Victor Hugo nella sua introduzione a "Les miserables" (1862)
www.gulliver.unian.it
uniblog@hotmail.com
Ilaria Alpi: la verità.
Quante sono le verità che spiegano un mistero? Per un politico ce ne sono diverse ma quella che gli interessa tra tutte è quella più facile da spiegare, per un giudice la verità esiste solo se è dimostrabile con assoluta certezza ma un bravo giornalista sa che la verità è una sola. Spesso la conosce anche prima di cominciare a cercare. Ilaria Alpi lo sapeva e sapeva anche che molto spesso per trovare la verità basta seguire la stessa strada che percorre il denaro.
Stava percorrendo proprio quella strada quando fu uccisa a Mogadiscio in Somalia.
La guerra civile faceva da sfondo ai suoi servizi sul Tg3 come faceva da sfondo ai traffici illeciti dell’Europa nel paese africano.
Sulla scena ci sono “Uomini d’affari”, sciacalli! Gli uomini che pagano per scaricare rifiuti tossici provenienti dall’industria europea nella “Terra dei pezzenti” e che poi si fanno pagare per procurare le armi necessarie per prolungare la guerra. Così il meccanismo era perfezionato con una guerra civile in corso è più facile coprire certi traffici senza troppi rischi. Ilaria era un sassolino in quell’ingranaggio dagli altri profitti. Sapeva muoversi a Mogadiscio, imprevedibile e intelligente perché era guidata solo dall’amore per la verità e per il suo mestiere.
aveva già annotato nomi e cognomi sui suoi taccuini e il suo operatore aveva filmato una decina di cassette con le prove delle sue tesi.
Per la giustizia infatti non basta sapere la verità ma bisogna anche provarla.
Tutti sanno a Mogadiscio ma solo Ilaria aveva avuto il coraggio di raccogliere le prove e le aveva già annotato nomi, cognomi e luoghi sui suoi taccuini e il suo operatore aveva filmato una decina di cassette con le prove delle sue tesi.
Ma un sassolino non può occupare tutta la scena e qualcosa si stava movendo sullo sfondo.
I trafficanti, i signori della guerra, gli armatori erano decisi a proteggere i loro interessi anche se questo voleva dire uccidere a sangue freddo due persone: Ilaria e Miran Hrovatin il suo operatore.
E lo dimostrarono nel “più crudele dei giorni”.
Poi i sevizi segreti di non so quante nazioni si preoccuparono di infangare e coprire tutto. Non si devono sapere i responsabili!
C’è un processo in corso che più provare al verità è solo fonte di vergogna per il nostro stato di diritto.
Il giudice a cui era stato affidato il caso rischiava di scoprire troppo con un indagine seria condotta sul campo cioè a Mogadiscio e per questo è stato allontanato con una motivazione ridicola.
Un dirigente dei servizi segreti italiani, interrogato in aula, ha dichiarato di sapere… ma di non poter parlare: “Segreto di Stato”. Così si chiamano le verità scomode per un paese. Vergogna!
Le mie sono solo parole tesi oppure è la verità se volete ma non posso provarla.
Devo ammettere di essermi innamorato della figura di Ilaria Alpi dopo aver visto il film “Il più crudele dei giorni” interpretato da Giovanna Mezzogiorno ma già da quello che avevo letto sul suo conto si intuisce il carattere di una delle tante persone che loro malgrado tra le pagine amare della storia d’Italia.
Fabio

Quante sono le verità che spiegano un mistero? Per un politico ce ne sono diverse ma quella che gli interessa tra tutte è quella più facile da spiegare, per un giudice la verità esiste solo se è dimostrabile con assoluta certezza ma un bravo giornalista sa che la verità è una sola. Spesso la conosce anche prima di cominciare a cercare. Ilaria Alpi lo sapeva e sapeva anche che molto spesso per trovare la verità basta seguire la stessa strada che percorre il denaro.
Stava percorrendo proprio quella strada quando fu uccisa a Mogadiscio in Somalia.
La guerra civile faceva da sfondo ai suoi servizi sul Tg3 come faceva da sfondo ai traffici illeciti dell’Europa nel paese africano.
Sulla scena ci sono “Uomini d’affari”, sciacalli! Gli uomini che pagano per scaricare rifiuti tossici provenienti dall’industria europea nella “Terra dei pezzenti” e che poi si fanno pagare per procurare le armi necessarie per prolungare la guerra. Così il meccanismo era perfezionato con una guerra civile in corso è più facile coprire certi traffici senza troppi rischi. Ilaria era un sassolino in quell’ingranaggio dagli altri profitti. Sapeva muoversi a Mogadiscio, imprevedibile e intelligente perché era guidata solo dall’amore per la verità e per il suo mestiere.
aveva già annotato nomi e cognomi sui suoi taccuini e il suo operatore aveva filmato una decina di cassette con le prove delle sue tesi.
Per la giustizia infatti non basta sapere la verità ma bisogna anche provarla.
Tutti sanno a Mogadiscio ma solo Ilaria aveva avuto il coraggio di raccogliere le prove e le aveva già annotato nomi, cognomi e luoghi sui suoi taccuini e il suo operatore aveva filmato una decina di cassette con le prove delle sue tesi.
Ma un sassolino non può occupare tutta la scena e qualcosa si stava movendo sullo sfondo.
I trafficanti, i signori della guerra, gli armatori erano decisi a proteggere i loro interessi anche se questo voleva dire uccidere a sangue freddo due persone: Ilaria e Miran Hrovatin il suo operatore.
E lo dimostrarono nel “più crudele dei giorni”.
Poi i sevizi segreti di non so quante nazioni si preoccuparono di infangare e coprire tutto. Non si devono sapere i responsabili!
C’è un processo in corso che più provare al verità è solo fonte di vergogna per il nostro stato di diritto.
Il giudice a cui era stato affidato il caso rischiava di scoprire troppo con un indagine seria condotta sul campo cioè a Mogadiscio e per questo è stato allontanato con una motivazione ridicola.
Un dirigente dei servizi segreti italiani, interrogato in aula, ha dichiarato di sapere… ma di non poter parlare: “Segreto di Stato”. Così si chiamano le verità scomode per un paese. Vergogna!
Le mie sono solo parole tesi oppure è la verità se volete ma non posso provarla.
Devo ammettere di essermi innamorato della figura di Ilaria Alpi dopo aver visto il film “Il più crudele dei giorni” interpretato da Giovanna Mezzogiorno ma già da quello che avevo letto sul suo conto si intuisce il carattere di una delle tante persone che loro malgrado tra le pagine amare della storia d’Italia.
Fabio
L’Ora Illegale
Se per un essere umano è necessario avere la Carta d’Identità per circolare negli stati membri dell’unione, per un arma (anche da guerra) sarà sufficiente che due produttori di armi abbiano firmato un contratto di coproduzione.
Infatti se due produttori collaborano in un progetto internazionale gli sarà sufficiente richiedere una “Licenza globale di progetto” per far si che armi, componenti, munizioni ecc… possano viaggiare indisturbati tra i due paesi. Cioè inizierà uno scambio di armi senza limiti di quantità, valore ma soprattutto senza controllo sul loro uso finale: se il paese di origine di un proiettile è l’Italia e quel proiettile è frutto di una coproduzione tra l’Italia e l’Inghilterra allora non solo quel proiettile potrà viaggiare dall’Italia all’Inghilterra ma da li potrà essere girato in qualsiasi posto della terra a piacere degli Inglesi.
Se la legge inglese lo consente potrà essere venduto anche ad un paese in guerra o per paradosso anche a un paese in guerra proprio contro l’Italia.
Cosa ispira questa nuova legge? Citando i sostenitori della legge “la necessità di ristrutturare l’industria bellica europea (poi sono stati inclusi i paesi NATO e Onu) favorendo le interazioni tra industrie straniere…”
Mi sembra inutile dilungarsi su cosa spinge a creare un varco nella vecchia legge del 1990. Invece torna utile alla comprensione il fatto che per avere una licenza globale di progetto basterebbe addurre motivi di tipo commerciale e/o economici per scavalcare tutti gli organi di controllo anche il parlamento.
Sono sempre stato convinto che le armi servissero ad uccidere, la l. 189/90 l’ho presa come un tentativo di convincermi che servissero a difendermi ma adesso redo sempre più che un’arma serva ad arricchire chi la vende…
Fabio Rossi
Prima del 1990……
l’esportazione di armi era regolata dalle norme generali sul commercio internazionale cioè non c’erano restrizioni di nessun tipo per le armi rispetto ad altri prodotti.
Non esisteva nessun organo di controllo che in qualche modo potesse garantire trasparenza sulla destinazione e uso delle armi prodotte in Italia e tanto meno sul loro uso finale.
Non era possibile inoltre identificare il materiale bellico che transitava sul territorio nazionale, tanto meno scoprirne la provenienza.
Addirittura era in vigore il regio decreto n°161 del 1941 che prevedeva che tutta la materia “armi” fosse coperta da segreto militare e quindi restava nascosta persino al parlamento.
Negli anni ’80 le pressioni esercitate dalla società civile in seguito agli scandali sul rifornimento di armi a paesi belligeranti (iran-iraq) o responsabili di violazioni dei diritti umani (Sudafrica, paesi del terzo mondo in genere) posero l’accento sulla necessità di un sistema di controllo dei movimenti di armi.
La legge n°185 del 1990 fu la risposta.
La legge non è ispirata da principi umanitari o dal rispetto dei diritti umani ma bensì è rivolta a riconoscere la materia del commercio di armi come parte non secondaria della politica della politica estera e quindi si propone di integrare e coordinare queste due materie al fine di proteggere gli interessi del paese. Le linee fondamentali infatti esprimevano la necessità di subordinare il commercio di armi alla sicurezza nazionale, alla costituzione (art.11) e al diritto internazionale (prevenzione dei conflitti, tutela dei diritti umani)e guarda caso alla lotta al terrorismo…
Nonostante questi temi fossero critici, fino al 1990 non si è sentito il bisogno di regolarli.
Questa legge rappresenta una delle poche vittorie della società civile per questo veniva considerata un simbolo da difendere.
F.R.
Se per un essere umano è necessario avere la Carta d’Identità per circolare negli stati membri dell’unione, per un arma (anche da guerra) sarà sufficiente che due produttori di armi abbiano firmato un contratto di coproduzione.
Infatti se due produttori collaborano in un progetto internazionale gli sarà sufficiente richiedere una “Licenza globale di progetto” per far si che armi, componenti, munizioni ecc… possano viaggiare indisturbati tra i due paesi. Cioè inizierà uno scambio di armi senza limiti di quantità, valore ma soprattutto senza controllo sul loro uso finale: se il paese di origine di un proiettile è l’Italia e quel proiettile è frutto di una coproduzione tra l’Italia e l’Inghilterra allora non solo quel proiettile potrà viaggiare dall’Italia all’Inghilterra ma da li potrà essere girato in qualsiasi posto della terra a piacere degli Inglesi.
Se la legge inglese lo consente potrà essere venduto anche ad un paese in guerra o per paradosso anche a un paese in guerra proprio contro l’Italia.
Cosa ispira questa nuova legge? Citando i sostenitori della legge “la necessità di ristrutturare l’industria bellica europea (poi sono stati inclusi i paesi NATO e Onu) favorendo le interazioni tra industrie straniere…”
Mi sembra inutile dilungarsi su cosa spinge a creare un varco nella vecchia legge del 1990. Invece torna utile alla comprensione il fatto che per avere una licenza globale di progetto basterebbe addurre motivi di tipo commerciale e/o economici per scavalcare tutti gli organi di controllo anche il parlamento.
Sono sempre stato convinto che le armi servissero ad uccidere, la l. 189/90 l’ho presa come un tentativo di convincermi che servissero a difendermi ma adesso redo sempre più che un’arma serva ad arricchire chi la vende…
Fabio Rossi
Prima del 1990……
l’esportazione di armi era regolata dalle norme generali sul commercio internazionale cioè non c’erano restrizioni di nessun tipo per le armi rispetto ad altri prodotti.
Non esisteva nessun organo di controllo che in qualche modo potesse garantire trasparenza sulla destinazione e uso delle armi prodotte in Italia e tanto meno sul loro uso finale.
Non era possibile inoltre identificare il materiale bellico che transitava sul territorio nazionale, tanto meno scoprirne la provenienza.
Addirittura era in vigore il regio decreto n°161 del 1941 che prevedeva che tutta la materia “armi” fosse coperta da segreto militare e quindi restava nascosta persino al parlamento.
Negli anni ’80 le pressioni esercitate dalla società civile in seguito agli scandali sul rifornimento di armi a paesi belligeranti (iran-iraq) o responsabili di violazioni dei diritti umani (Sudafrica, paesi del terzo mondo in genere) posero l’accento sulla necessità di un sistema di controllo dei movimenti di armi.
La legge n°185 del 1990 fu la risposta.
La legge non è ispirata da principi umanitari o dal rispetto dei diritti umani ma bensì è rivolta a riconoscere la materia del commercio di armi come parte non secondaria della politica della politica estera e quindi si propone di integrare e coordinare queste due materie al fine di proteggere gli interessi del paese. Le linee fondamentali infatti esprimevano la necessità di subordinare il commercio di armi alla sicurezza nazionale, alla costituzione (art.11) e al diritto internazionale (prevenzione dei conflitti, tutela dei diritti umani)e guarda caso alla lotta al terrorismo…
Nonostante questi temi fossero critici, fino al 1990 non si è sentito il bisogno di regolarli.
Questa legge rappresenta una delle poche vittorie della società civile per questo veniva considerata un simbolo da difendere.
F.R.
Crocefisso: interessa??
Non avrei mai voluto scrivere un articolo su una vicenda così poco importante come quella del Crocefisso: francamente penso che la scuola italiana e l'establishment politico italiano abbiano questioni più serie sulle quali infervorarsi. In questi giorni si è scatena una polemica senza quartiere in Parlamento, nei giornali, nelle trasmissioni radio e tv; si sono visti commenti che sfioravano il ridicolo e un trionfo di discorsi "da bar" nei salotti dell'alta cultura. Così abbiamo visto una Mussolini furente che difendeva, come una Giovanna d'Arco "de noantri", un regolamento del nonno (ossia quello che ha introdotto la Croce nelle scuole); Ciampi ha esaltato tale simbolo come una seconda bandiera dello Stato Italiano (ma del resto cosa poteva dire il nonno di tutti noi? ho il timore che il prossimo 25/12 si presenti, per le vie romane, vestito da Babbo Natale su una slitta, italicamente trainata dalla banda dei bersaglieri, per portare i doni ai bambini); ho visto il TG2 lanciare la rubrica "Adotta un Crocefisso" (e non stò scherzando), in un loro servizio sono riusciti a trovare una discarica di Croci (tra cui quella della Giornata Mondiale della Gioventù) e si invitava le amministrazioni territoriali a recuperarle per esporle nelle piazze; ho sentito in radio le interviste della gente, cariche di odio e di risentimento, senza quindi quella cristiana comprensione che un omino di 2.000 anni fa ci ha insegnato (porgere l'altra guancia: giuro che questa non è una mia frase). Detto ciò è scontanto che questa è una polemica strumentale e che è dovuta principalmente alle lotte intestine al movimento musulmano italiano. I musulmani nel nostro paese sono più di un milione: numericamente hanno lo stesso peso dei marchigiani e comunque sono superiori ad abruzzesi, molisani, valdostani, umbri ecc. E' lapalissiano che siano diventati una forza politica ed economica non indefferente: di qui la lotta delle varie associazioni musulmane italiane che cercano di prevalere l'una su l'altra per ottenere l'egemonia politica sull'intero movimento (penso che di questo argomento i mass-media e i politici italiani si siano occupati poco e invece è un tema importante: cosa accadrebbe se tale movimento pacifico, per adesso, finisse nelle grinfie di qualche esaltato?). In questo contesto va inserita l'intera vicenda: Adel Smith, pres. di una sedicente Unione dei Musulmani Italiani, lancia la provocazione, estremizza la lotta: è una antica mossa politica, più esasperi i toni e più trovi adepti, più trovi un nemico immaginario (contro cui scaricare le frustrazioni di un popolo) e più hai seguito. E' un gesto demagogico, è evidente. Sembra assurdo che i politici italiani cadano in una trappola così banale ma siccome nessuno è fesso anche i nostri rappresentanti hanno voluto strumentalizzare la questione. Ecco quindi che estremisti antagonisti sono uniti nel voler sfruttare una situazione che lacera i rapporti fra due culture che, in realtà, hanno molto in comune e dovranno cercare percorsi comuni se vorranno una futura e pacifica convivenza (o meglio ancora, integrazione). Detto ciò l'intera vicenda ne apre un'altra: la laicità dello Stato. Uno dei principi cardine di uno Stato democratico e moderno è la laicità: solo così si può garantire uguali diritti a tutti i cittadini senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali (art. 3 della nostra stupenda Costituzione). Se facciamo un salto nella Storia ogni qual volta la Religione si è confusa con lo Stato ne hanno perso gli stessi valori religiosi e umani in genere: è forse per questo che quell'omino di 2.000 anni fà diceva date a Cesare quel che è di Cesare? Sinceramente penso proprio di si: la religione non è amministrazione della cosa pubblica ma un atto di fede personale; i luoghi dello Stato non sono luoghi di culto: per questo ci sono le chiese o meglio ancora l'introspezione egocentrica. La Croce nelle scuole è un rimasuglio dello Stato fascista, figlio di un Concordato che non aveva lo scopo di tutelare i diritti dei cittadini ma la mera spartizione di potere. Spero che tutta questa storia non faccia regredire il Paese su uno dei principi cardine dello Stato Democratico; vi lascio con una frase del grande Montanelli:
Laicismo significa libertà e la libertà è la condizione di ogni progresso, specialmente di quello culturale.
C.T.
Non avrei mai voluto scrivere un articolo su una vicenda così poco importante come quella del Crocefisso: francamente penso che la scuola italiana e l'establishment politico italiano abbiano questioni più serie sulle quali infervorarsi. In questi giorni si è scatena una polemica senza quartiere in Parlamento, nei giornali, nelle trasmissioni radio e tv; si sono visti commenti che sfioravano il ridicolo e un trionfo di discorsi "da bar" nei salotti dell'alta cultura. Così abbiamo visto una Mussolini furente che difendeva, come una Giovanna d'Arco "de noantri", un regolamento del nonno (ossia quello che ha introdotto la Croce nelle scuole); Ciampi ha esaltato tale simbolo come una seconda bandiera dello Stato Italiano (ma del resto cosa poteva dire il nonno di tutti noi? ho il timore che il prossimo 25/12 si presenti, per le vie romane, vestito da Babbo Natale su una slitta, italicamente trainata dalla banda dei bersaglieri, per portare i doni ai bambini); ho visto il TG2 lanciare la rubrica "Adotta un Crocefisso" (e non stò scherzando), in un loro servizio sono riusciti a trovare una discarica di Croci (tra cui quella della Giornata Mondiale della Gioventù) e si invitava le amministrazioni territoriali a recuperarle per esporle nelle piazze; ho sentito in radio le interviste della gente, cariche di odio e di risentimento, senza quindi quella cristiana comprensione che un omino di 2.000 anni fa ci ha insegnato (porgere l'altra guancia: giuro che questa non è una mia frase). Detto ciò è scontanto che questa è una polemica strumentale e che è dovuta principalmente alle lotte intestine al movimento musulmano italiano. I musulmani nel nostro paese sono più di un milione: numericamente hanno lo stesso peso dei marchigiani e comunque sono superiori ad abruzzesi, molisani, valdostani, umbri ecc. E' lapalissiano che siano diventati una forza politica ed economica non indefferente: di qui la lotta delle varie associazioni musulmane italiane che cercano di prevalere l'una su l'altra per ottenere l'egemonia politica sull'intero movimento (penso che di questo argomento i mass-media e i politici italiani si siano occupati poco e invece è un tema importante: cosa accadrebbe se tale movimento pacifico, per adesso, finisse nelle grinfie di qualche esaltato?). In questo contesto va inserita l'intera vicenda: Adel Smith, pres. di una sedicente Unione dei Musulmani Italiani, lancia la provocazione, estremizza la lotta: è una antica mossa politica, più esasperi i toni e più trovi adepti, più trovi un nemico immaginario (contro cui scaricare le frustrazioni di un popolo) e più hai seguito. E' un gesto demagogico, è evidente. Sembra assurdo che i politici italiani cadano in una trappola così banale ma siccome nessuno è fesso anche i nostri rappresentanti hanno voluto strumentalizzare la questione. Ecco quindi che estremisti antagonisti sono uniti nel voler sfruttare una situazione che lacera i rapporti fra due culture che, in realtà, hanno molto in comune e dovranno cercare percorsi comuni se vorranno una futura e pacifica convivenza (o meglio ancora, integrazione). Detto ciò l'intera vicenda ne apre un'altra: la laicità dello Stato. Uno dei principi cardine di uno Stato democratico e moderno è la laicità: solo così si può garantire uguali diritti a tutti i cittadini senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali (art. 3 della nostra stupenda Costituzione). Se facciamo un salto nella Storia ogni qual volta la Religione si è confusa con lo Stato ne hanno perso gli stessi valori religiosi e umani in genere: è forse per questo che quell'omino di 2.000 anni fà diceva date a Cesare quel che è di Cesare? Sinceramente penso proprio di si: la religione non è amministrazione della cosa pubblica ma un atto di fede personale; i luoghi dello Stato non sono luoghi di culto: per questo ci sono le chiese o meglio ancora l'introspezione egocentrica. La Croce nelle scuole è un rimasuglio dello Stato fascista, figlio di un Concordato che non aveva lo scopo di tutelare i diritti dei cittadini ma la mera spartizione di potere. Spero che tutta questa storia non faccia regredire il Paese su uno dei principi cardine dello Stato Democratico; vi lascio con una frase del grande Montanelli:
Laicismo significa libertà e la libertà è la condizione di ogni progresso, specialmente di quello culturale.
C.T.
Pensioni
Il 23 ottobre 2003 l'ass. Gulliver S.U. ha organizzato un'interessante conferenza-dibattito sul tema delle pensioni; presenti in aula erano il prof. Antonio Di Stasi, il segr. reg.le della CISL Mastrovincenzo Stefano e il segr. prov.le della CGIL Zoppi Gilberto. Riassumere nelle poche righe di un articolo una questione così vasta come quella previdenziale è impossibile ma si può fare qualche considerazione politica e analizzare come questo governo si sia mosso in campo sociale ed economico. Iniziamo dall'attualità più cogente e col dire che quanto di seguito sono principalmente le opinioni personali di chi scrive. Una riforma pensionistica, l'Italia già ce l'ha ed è la ccdd "Riforma Dini" che nasce per risolvere un problema che esiste: in un sistema a ripartizione, come il nostro, dove i lavoratori di oggi sostengono le pensioni dei loro genitori, e con un invecchiamento della popolazione, si rischia un collasso. La "Dini" si è sviluppata essenzialmente lungo due linee: da una parte ha elevato gli anni sia per la pensione di vecchiaia che di anzianità e dall'altra ha introdotto il ccdd "secondo pilastro" (ossia la pensione integrativa). Appena insediato il presidente del consiglio, tal signor B., nomina una commissione, detta Brambilla, che ha il compito di studiare gli effetti della suddetta riforma. Il giudizio che ne viene fuori è nettamente positivo: la riforma mantiene il sistema delle casse (dell'INPS); in altre parole c'è equilibrio fra entrate e uscite! Quasi contemporaneamente la stessa UE invita i paesi europei ad aggiustare le previdenze nazionali sull'esempio del modello italiano e svedese. In teoria non esisterebbe ragione economica per un nuovo salasso alle famiglie. Ma il signor B. fa orecchie da mercante (del resto è il suo mestiere), invita i sindacati intorno ad un tavolo per discutere della questione; le rappresentanze sarebbero anche disposte a trattare aggiustamenti alla già esistente riforma ma sul tavolo viene buttato un pacchetto già bello che confezionato e quindi inattaccabile. La sera stessa, dall'unico balcone affacciato in tutte le case, il dittatore mediatico ci offre la sua ricetta per salvare l'Italia dall'incapacità e inettitudine dei sindacati. Il tutto con buona pace della concertazione o dialogo sociale che dir si voglia. Qual'è, allora, la vera ragione di tutto ciò? In realtà, le pensioni sono solamente un tassello del programma economico del governo. Si mira a ridurre i contributi dei lavoratori per ridurre il costo del lavoro per gli imprenditori; inoltre, proprio in questi giorni, è entrata in vigore la legge Biagi (il cui dramma è stato usato come marketing all'azione del governo) e che, in sostanza, aumenta la precarizzazione dei lavoratori. All'attacco del mondo del lavoro si aggiunge lo smantellamento del Welfare: tagli all'istruzione, tagli alla ricerca, tagli alle regioni (cioè alla sanità), riduzione della progressività dell'Irpef... TAGLI E CONDONI... TAGLI E CONDONI… Il tutto ovviamente è spalleggiato dalla CONFINDUSTRIA e soprattutto dai grandi imprenditori che invece di investire e rischiare preferiscono l'economia di bolletta ossia accaparrarsi tutti quei settori, una volta pubblici, che garantiscono monopoli o al massimo oligarchie (la classica economia di rapina); e di esempi ce ne sono a iosa: si pensi solo al settore delle telecomunicazioni, dell'energia elettrica, delle autostrade e cosi via. Forse questi illustri signori non sanno, come abbiamo dovuto studiare noi, che il costo del lavoro si può ridurre anche se si investe in tecnologia, in innovazione e formazione ma... forse sbaglio, è molto più comodo vivere di rendita! chi glielo fa fare di rischiare! Ma non è forse questo il mestiere dell'imprenditore? i suoi extraprofitti non sono forse giustificati dal rischio economico? Questa non è politica liberista (e a questo punto, magari lo fosse davvero!) ma è la politica di un bieco e spietato capitalismo conservatore che taglia le gambe alle famiglie e a ogni possibilità di progresso. In conclusione, vorrei ringraziare tutti coloro (qualunque sia la propria idea politica) che sono convenuti e hanno partecipato al dibattito. Un grazie, ancora, al prof. Di Stasi e alle rappresentanze sindacali.
Claudio T.
Il 23 ottobre 2003 l'ass. Gulliver S.U. ha organizzato un'interessante conferenza-dibattito sul tema delle pensioni; presenti in aula erano il prof. Antonio Di Stasi, il segr. reg.le della CISL Mastrovincenzo Stefano e il segr. prov.le della CGIL Zoppi Gilberto. Riassumere nelle poche righe di un articolo una questione così vasta come quella previdenziale è impossibile ma si può fare qualche considerazione politica e analizzare come questo governo si sia mosso in campo sociale ed economico. Iniziamo dall'attualità più cogente e col dire che quanto di seguito sono principalmente le opinioni personali di chi scrive. Una riforma pensionistica, l'Italia già ce l'ha ed è la ccdd "Riforma Dini" che nasce per risolvere un problema che esiste: in un sistema a ripartizione, come il nostro, dove i lavoratori di oggi sostengono le pensioni dei loro genitori, e con un invecchiamento della popolazione, si rischia un collasso. La "Dini" si è sviluppata essenzialmente lungo due linee: da una parte ha elevato gli anni sia per la pensione di vecchiaia che di anzianità e dall'altra ha introdotto il ccdd "secondo pilastro" (ossia la pensione integrativa). Appena insediato il presidente del consiglio, tal signor B., nomina una commissione, detta Brambilla, che ha il compito di studiare gli effetti della suddetta riforma. Il giudizio che ne viene fuori è nettamente positivo: la riforma mantiene il sistema delle casse (dell'INPS); in altre parole c'è equilibrio fra entrate e uscite! Quasi contemporaneamente la stessa UE invita i paesi europei ad aggiustare le previdenze nazionali sull'esempio del modello italiano e svedese. In teoria non esisterebbe ragione economica per un nuovo salasso alle famiglie. Ma il signor B. fa orecchie da mercante (del resto è il suo mestiere), invita i sindacati intorno ad un tavolo per discutere della questione; le rappresentanze sarebbero anche disposte a trattare aggiustamenti alla già esistente riforma ma sul tavolo viene buttato un pacchetto già bello che confezionato e quindi inattaccabile. La sera stessa, dall'unico balcone affacciato in tutte le case, il dittatore mediatico ci offre la sua ricetta per salvare l'Italia dall'incapacità e inettitudine dei sindacati. Il tutto con buona pace della concertazione o dialogo sociale che dir si voglia. Qual'è, allora, la vera ragione di tutto ciò? In realtà, le pensioni sono solamente un tassello del programma economico del governo. Si mira a ridurre i contributi dei lavoratori per ridurre il costo del lavoro per gli imprenditori; inoltre, proprio in questi giorni, è entrata in vigore la legge Biagi (il cui dramma è stato usato come marketing all'azione del governo) e che, in sostanza, aumenta la precarizzazione dei lavoratori. All'attacco del mondo del lavoro si aggiunge lo smantellamento del Welfare: tagli all'istruzione, tagli alla ricerca, tagli alle regioni (cioè alla sanità), riduzione della progressività dell'Irpef... TAGLI E CONDONI... TAGLI E CONDONI… Il tutto ovviamente è spalleggiato dalla CONFINDUSTRIA e soprattutto dai grandi imprenditori che invece di investire e rischiare preferiscono l'economia di bolletta ossia accaparrarsi tutti quei settori, una volta pubblici, che garantiscono monopoli o al massimo oligarchie (la classica economia di rapina); e di esempi ce ne sono a iosa: si pensi solo al settore delle telecomunicazioni, dell'energia elettrica, delle autostrade e cosi via. Forse questi illustri signori non sanno, come abbiamo dovuto studiare noi, che il costo del lavoro si può ridurre anche se si investe in tecnologia, in innovazione e formazione ma... forse sbaglio, è molto più comodo vivere di rendita! chi glielo fa fare di rischiare! Ma non è forse questo il mestiere dell'imprenditore? i suoi extraprofitti non sono forse giustificati dal rischio economico? Questa non è politica liberista (e a questo punto, magari lo fosse davvero!) ma è la politica di un bieco e spietato capitalismo conservatore che taglia le gambe alle famiglie e a ogni possibilità di progresso. In conclusione, vorrei ringraziare tutti coloro (qualunque sia la propria idea politica) che sono convenuti e hanno partecipato al dibattito. Un grazie, ancora, al prof. Di Stasi e alle rappresentanze sindacali.
Claudio T.
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