17.4.04

L’Ora Illegale
Se per un essere umano è necessario avere la Carta d’Identità per circolare negli stati membri dell’unione, per un arma (anche da guerra) sarà sufficiente che due produttori di armi abbiano firmato un contratto di coproduzione.
Infatti se due produttori collaborano in un progetto internazionale gli sarà sufficiente richiedere una “Licenza globale di progetto” per far si che armi, componenti, munizioni ecc… possano viaggiare indisturbati tra i due paesi. Cioè inizierà uno scambio di armi senza limiti di quantità, valore ma soprattutto senza controllo sul loro uso finale: se il paese di origine di un proiettile è l’Italia e quel proiettile è frutto di una coproduzione tra l’Italia e l’Inghilterra allora non solo quel proiettile potrà viaggiare dall’Italia all’Inghilterra ma da li potrà essere girato in qualsiasi posto della terra a piacere degli Inglesi.
Se la legge inglese lo consente potrà essere venduto anche ad un paese in guerra o per paradosso anche a un paese in guerra proprio contro l’Italia.
Cosa ispira questa nuova legge? Citando i sostenitori della legge “la necessità di ristrutturare l’industria bellica europea (poi sono stati inclusi i paesi NATO e Onu) favorendo le interazioni tra industrie straniere…”
Mi sembra inutile dilungarsi su cosa spinge a creare un varco nella vecchia legge del 1990. Invece torna utile alla comprensione il fatto che per avere una licenza globale di progetto basterebbe addurre motivi di tipo commerciale e/o economici per scavalcare tutti gli organi di controllo anche il parlamento.
Sono sempre stato convinto che le armi servissero ad uccidere, la l. 189/90 l’ho presa come un tentativo di convincermi che servissero a difendermi ma adesso redo sempre più che un’arma serva ad arricchire chi la vende…
Fabio Rossi
Prima del 1990…
l’esportazione di armi era regolata dalle norme generali sul commercio internazionale cioè non c’erano restrizioni di nessun tipo per le armi rispetto ad altri prodotti.
Non esisteva nessun organo di controllo che in qualche modo potesse garantire trasparenza sulla destinazione e uso delle armi prodotte in Italia e tanto meno sul loro uso finale.
Non era possibile inoltre identificare il materiale bellico che transitava sul territorio nazionale, tanto meno scoprirne la provenienza.
Addirittura era in vigore il regio decreto n°161 del 1941 che prevedeva che tutta la materia “armi” fosse coperta da segreto militare e quindi restava nascosta persino al parlamento.
Negli anni ’80 le pressioni esercitate dalla società civile in seguito agli scandali sul rifornimento di armi a paesi belligeranti (iran-iraq) o responsabili di violazioni dei diritti umani (Sudafrica, paesi del terzo mondo in genere) posero l’accento sulla necessità di un sistema di controllo dei movimenti di armi.
La legge n°185 del 1990 fu la risposta.
La legge non è ispirata da principi umanitari o dal rispetto dei diritti umani ma bensì è rivolta a riconoscere la materia del commercio di armi come parte non secondaria della politica della politica estera e quindi si propone di integrare e coordinare queste due materie al fine di proteggere gli interessi del paese. Le linee fondamentali infatti esprimevano la necessità di subordinare il commercio di armi alla sicurezza nazionale, alla costituzione (art.11) e al diritto internazionale (prevenzione dei conflitti, tutela dei diritti umani)e guarda caso alla lotta al terrorismo…
Nonostante questi temi fossero critici, fino al 1990 non si è sentito il bisogno di regolarli.
Questa legge rappresenta una delle poche vittorie della società civile per questo veniva considerata un simbolo da difendere.
F.R.

Nessun commento: